Marco Neri e Leonardo Pivi sono pressoché coetanei. Il primo è del 1968, il secondo del 1965. Entrambi hanno le stesse radici romagnole e sono amici da sempre. Anche se con incursioni in altri linguaggi, fondamentalmente Neri è pittore, mentre Pivi è scultore e, nonostante sia sempre stato un loro desiderio, non si è mai presentata l’occasione di esporre insieme. Fino ad ora.
Sono loro, infatti, gli artisti invitati ad inaugurare Imperfettoart, il nuovo spazio espositivo ricavato all’interno di un fabbricato industriale situato a ridosso della via Emilia a qualche chilometro da Rimini, proprio nel cuore di quel territorio cui sono fortemente legati.
La mostra testimonia l’approdo della loro ricerca più recente. “Materia grigia” è il titolo che, se da una parte è riconducibile al colore protagonista della scarna tavolozza di Neri e dei materiali (cemento, sassi) molto utilizzati da Pivi, dall’altro sottolinea come per la ricerca di entrambi sia l’intelligenza a sviluppare ciò che le emozioni segnalano. Ovvero il calore dell’emozione unito alla freddezza del ragionamento. Ed è, indirettamente, un omaggio a Piero della Francesca che, parafrasando Mimmo Paladino, è colui che ha avuto “la capacità di creare colore dal grigio”.
L’esposizione è incentrata su una sola opera per ciascuno con il particolare curioso di essere realizzate, in qualche misura, con una sorta di scambio di ruoli: Neri realizza un’installazione tridimensionale; Pivi presenta un’opera a parete con vista frontale.
Collocata a terra su una pedana alta una sessantina di centimetri, l’opera di Neri, dal titolo Costruire, è una grande maquette di un aggregato urbano realizzato assemblando e dipingendo scatole di varie dimensioni. Pivi con Mappa concettuale occupa un’intera parete su cui è intervenuto effettuando una disinvolta scorribanda del suo universo denso di memorie antiche, ricordi autobiografici, maschere indecifrabili, figure antropomorfe, oggetti e manufatti.
Sono opere monumentali e inedite che, coniugando rigore e seduzione, rappresentano la somma delle loro poetiche.
Opere che spaziano tra rispetto delle geometrie e volontà di calibrare una libera drammaturgia. Da un lato, il bisogno di affermare con forza la centralità del progetto, del senso della misura e dell’armonia. Dall’altro, la necessità di dare voce agli slanci dell’immaginario, con abbandoni onirici.
Neri pensa alla pittura non come discorso letterario, ma come ostinata costruzione di toni, di geometrie, di superfici ed è più interessato a fare immaginare piuttosto che al solo rappresentare, non trascurando il come dipingere rispetto a che cosa dipingere. Convinto assertore delle immutate potenzialità espressive della pittura, Neri attraverso un’estrema sintesi formale e con una ridotta gamma cromatica rende plausibili architetture immaginarie ottenute dall’immediatezza di una pennellata disposta ad accogliere l’imprevisto. Dunque, restringendo il proprio campo d’azione in regole ferree, Neri restituisce un’idea di architettura segnata da un costruttivismo formale che testimonia una rigorosa organizzazione spaziale che elude i confini tra astrazione e figurazione.
Pivi è attratto dai miti e riti di culture lontane, ma anche contemporanee. Recuperando tecniche difficili e desuete di lavorazione di materiali simbolo per eccellenza quali, come abbiamo sopra citato, il cemento e i sassi, ma anche la pietra o i ciottoli levigati dall’acqua, attualizza l’arcaico e mitizza il sacro. Lo fa con ironia, ma anche con una certa dose di cinismo e di sarcasmo, modificando scale e rapporti, combinando organico e inorganico, vero e falso così da creare un universo di senso complesso e stratificato in cui emblemi e simboli si mescolano incessantemente. In quest’opera di attraversamenti in continua trasformazione riveste un ruolo primario l’impiego del linguaggio musivo grazie alla cui raffinatezza “fuori tempo” Pivi trasforma in icone quasi araldiche le immagini più banali e convenzionali.
Giancarlo Papi