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Verter Turroni

Cesena IT, 1965
Verter Turroni ci mette davanti a pezzi di un mondo senza orizzonte. Scarti che sono l’immagine rotta di ciò che
era intero. Schegge di vetro esplosi. Fili di tessuto ormai sfilacciato. Sezioni di una totalità infranta. Tessere di un puzzle che non è più possibile ricomporre. Frammenti che attestano la fine di un universo, ma, insieme, rendono incombenti attimi di quello stesso universo, esibendo una grandezza mutilata. Turroni con i suoi assemblaggi e con le sue installazioni si situa in una posizione laterale rispetto alla realtà, per soffermarsi, prevalentemente, su indizi minimi. Ruba le tessere di un mosaico deflagrato. Apre crepe, per intravedere i contorni del vero, raccogliendo schegge private e memorie dissepolte. Rivela equilibri precari. Piuttosto che delineare grandi affreschi mette a fuoco alcuni fotogrammi, nasconde ogni riferimento, fino a raggiungere esiti addirittura astratti. Secondo un’idea di Benjamin compie una disinvolta rigenerazione. Nella partitura dell’opera, reintegra le rovine, le riscrive, le riscatta.